ACROSS THE OCEAN
By Hiền Hoàng
02/05/2024 - 2/06/2024
Fotografie di Nicola Morittu
“La mia defunta zia fu la prima a trasferirsi nella DDR come lavoratrice a contratto. Trascorso un po' di tempo, cominciò a mandarci delle lettere, raccontandoci quanto fosse bella la vita in Germania. Non parlava quasi mai di privazioni e discriminazioni. Quando nel 2014 andai a trovarla, mi stupì di quanto fosse difficile la sua vita. Di tanto in tanto mi ripeteva di fare attenzione durante le comunicazioni, dato che le chiamate e i messaggi potevano essere registrati. Fu solo in seguito che compresi che nella maggior parte dei casi, al di fuori del lavoro, la comunicazione tra i lavoratori a contratto e i cittadini tedeschi era vietata e controllata da parte delle autorità sia tedesche che vietnamite. Mi chiedo quanto vi fosse di vero nelle lettere che inviava a casa oltreoceano, e quanto di questo fosse di fatto diventato realtà in ciò che percepiva”.
Quando Hoang visita la zia nel 2014, rimane colpita dalla dicotomia tra il tono delle sue lettere e la lotta che ha contraddistinto la sua vita. Quando si trasferisce in Germania, la risposta di Hoang non è altrettanto passiva. Across the Ocean è una provocazione e una sfida agli stereotipi della società occidentale sulla cultura asiatica.
“Tutto apposto. Dall’altra parte dell'oceano”, scriveva la zia di Hoang in una lettera da Berlino, nel 1988. L’appunto fa eco alla facciata di accettazione che un individuo deve mantenere quando si trova a essere assimilato in una società straniera. Nonostante la discriminazione, il “buon immigrato” non deve lamentarsi.
Across the Ocean presenta alcuni elementi del progetto Asia Bistro – Made in Rice. L'artista utilizza il riso per affrontare la discriminazione che sottende il concetto di "immigrato buono". Il cibo diventa metafora degli stereotipi legati alle culture asiatiche. Gli artefatti raccolti e i ricordi dei parenti sulla discriminazione costituiscono la base per immagini, movimenti e performance. L'opera evidenzia il dibattito sul tema della politica dell'immigrazione in Germania e in Europa, e di come questa si ripercuota sulle persone generando traumi.
I tableaux giocano sul desiderio orientalista legato al consumo di culture esotiche; la sete di sperimentare ciò che è sconosciuto, ma in una forma appetibile per un pubblico globalizzato; la comoda coesistenza tra la popolarità del “cibo asiatico” e la feticizzazione del corpo delle donne asiatiche. Osservando la cultura come merce confezionata, Hoang commenta il processo di omogeneizzazione imposta a comunità molto diverse tra loro, raggruppate sotto un’unica identità diasporica.
Giocando con la distorsione, Hoang usa la deformità come metafora della deformazione dell’identità. La scissione dell’immagine contrassegna la distanza tra la percezione che la cultura occidentale ha di noi e l’immagine che abbiamo di noi stessi nel mondo; l’attribuzione di termini come “persone di colore” o “asiatici” quando esistiamo nella diaspora. Nonostante il soffocamento di questo fardello identitario, l'immigrato ideale deve imparare a fare buon viso a cattivo gioco.
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Across the ocean
“My late aunt was the first to come to the GDR as a contract worker. After some time, she started sending letters home writing about how nice life was in Germany. There was hardly any mention of sacrifice and discrimination. Later, when I visited her for the first time in 2014, I was surprised at how difficult her life was. I remember she kept telling me to be careful during our communications because calls and messages could have been recorded. I didn’t understand until one day I discovered that communication between the contract workers and German citizens outside of work was forbidden and controlled by both German and Vietnamese authorities. I wonder how much truth there was in the letters she sent home across the ocean, and how much of it became reality in her perception”.
When Hoang visited her aunt in 2014, she was struck by the dichotomy between the tone of her letters and the struggle that marked her life. When she subsequently moved to Germany herself, Hoang’s response was not as passive. Across the Ocean is a provocation, and a challenge posed, to the stereotyping of Asian culture by Western society.
“All is well. Across the ocean”, Hien Hoang’s aunt wrote in a letter to her family, from Berlin in 1988. The note resounds with the façade of acceptance that an individual must uphold when assimilating into a foreign society. Despite discrimination, the “good immigrant” must not complain.
Across the ocean contains parts of the project Asia Bistro - Made in Rice. The artist uses rice to address the underlying discrimination of the “good immigrant”. Food becomes a metaphor for stereotypes about Asian cultures. Collected artifacts and memories about discrimination from the artist’s kinship form the basis of the images, movements and performance. The piece highlights the issue of immigration policy in Germany and Europe, and how it affects a person and often causes trauma.
The tableaux play on the Orientalist desire for the consumption of exotic cultures. The thirst to experience that which is unknown, but in a palatable form for a globalized public. The convenient co-existence of the popularity of “Asian food” and the fetishisation of Asian women’s bodies. In looking at culture as a packaged commodity, Hoang comments on the homogenisation imposed on vastly different communities, folded together under one diasporic identity.
She uses deformity as a metaphor for the warping of identity. Splitting the image to mark the distance between Western culture’s perception of us and our image of ourselves in the world; the attribution of terms such as “people of color” or “Asian” when we exist in the diaspora. Despite the suffocation from this burden of identity, the ideal immigrant must learn to smile their way through.